Recensione di: Jean-Luc Egger, A norma di (chi) legge. Peculiarità dell’italiano federale

Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 2019, XII + 356 pagg.

  • Auteur-e: Annarita Felici
  • Catégories d'articles: Comptes-rendus
  • Proposition de citation: Annarita Felici, Recensione di: Jean-Luc Egger, A norma di (chi) legge. Peculiarità dell’italiano federale, in : LeGes 30 (2019) 3
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Il libro di Jean-Luc Egger A norma di (chi) legge. Peculiarità dellitaliano federale documenta in modo chiaro e sapiente la produzione di testi legislativi in italiano federale sullo sfondo del plurilinguismo elvetico e dell’attività traduttiva. Il titolo fa eco ad una nota collocazione legislativa (a norma di légge) ed entra subito nel merito della tematica, vale a dire l’italiano federale conforme alle prescrizioni dell’istituzione che lo produce, ma prestando anche attenzione a chi lo lègge ovvero ai suoi destinatari.

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Pur godendo dello status di lingua ufficiale e nazionale da più di 150 anni, l’italiano federale, per ovvie ragioni numeriche, non gode dello stesso prestigio del tedesco e del francese. Nel corso degli anni, la sua posizione è decisamente migliorata e oggi può vantare una maggiore presenza nell’iter legislativo, ma è ancora lontano dal considerarsi perfettamente equiparato alle altre due lingue. In un certo senso, l’italiano federale vive principalmente grazie alla traduzione: una traduzione molto particolare, quella istituzionale, che fa da filo rosso a tutto il volume. Garantendo l’equivalenza dei testi ufficiali, la traduzione istituzionale implica varie fasi redazionali e notevoli competenze e operazioni traduttive, che hanno l’obbligo «etico» di rispettare il genio delle singole lingue nazionali, ma anche quello di conformarsi con la realtà istituzionale plurilingue nella quale è prodotto il testo. Il volume ruota intorno alla traduzione per la sua dimensione etico-politica che rende de facto possibile il plurilinguismo elvetico, ma anche in quanto opportunità linguistica creativa che assicura vitalità e autorità alle singole lingue. Il linguaggio legislativo penetra infatti in tutti i campi della vita pubblica e sociale e la sua duplice natura di lingua settoriale e comune, necessariamente accessibile a tutti i cittadini, assicura la capacità di veicolare concetti nuovi anche a lingue che godono di minor prestigio. In quest’ottica, l’italiano federale è il protagonista del libro ed è analizzato sia come prodotto della traduzione, a volte in chiave contrastiva con le altre due lingue, sia come lingua autonoma, indipendente dalle altre versioni linguistiche. Avvalendosi della distinzione tra traduzione interlinguistica e intralinguistica, l’autore fotografa questa doppia vita dell’italiano federale, nella misura in cui la prima permette di cogliere l’essenza del messaggio giuridico e la seconda di adeguarlo alle convenzioni istituzionali, facendone poi un testo autonomo in grado di reggersi senza l’originale. In quest’ambito, è affrontato anche il tema dell’accessibilità dei testi giuridico-amministrativi da parte di «chi legge» distinguendo accuratamente tra comprensibilità normativa e leggibilità linguistica. Lungi dal perorare la causa della semplificazione linguistica come strumento democratico di partecipazione alla vita pubblica, Egger riflette sulla comprensibilità linguistica del messaggio normativo inserito in un preciso contesto istituzionale e in grado di forgiare una propria lingua normativa.

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Basandosi sulla sua esperienza diretta, da anni capo sostituto della Sezione legislazione e lingua presso la Cancelleria federale e segretario della Sottocommissione di lingua italiana della Commissione di redazione dell’Assemblea federale, l’autore presenta numerosi esempi e spunti di riflessione sulla lingua del diritto e sulla traduzione giuridico-istituzionale, che vanno ben oltre il contesto svizzero. Questi si inseriscono a pieno titolo nel filone della traduzione istituzionale plurilingue (si pensi a quella europea, canadese, belga e di altre realtà analoghe) e oltre a presentare il funzionamento del cantiere traduttivo federale, sono di notevole interesse per il traduttore giuridico, ma anche per il legislatore, il comparatista e lo studioso di diritto. La traduzione, al di là della codifica interlinguistica, offre l’occasione per riflettere sulle parole e sulle loro implicazioni, migliorando a volte addirittura le altre versioni linguistiche. In questo senso, rappresenta un terreno esplorativo e un atto creativo unico che, oltre ad assicurare il plurilinguismo nazionale, garantisce l’esistenza e la vitalità della lingua, atta a comunicare qualsiasi concetto e in qualsiasi ambito del sapere. Su questa scia, l’autore prende in esame anche i recenti progressi della traduzione automatica e neuronale, e appare chiaro come questi ultimi potranno fornire un supporto, ma non sostituire il laborioso processo traduttivo della traduzione istituzionale.

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Il capitolo introduttivo contestualizza la lingua del diritto come linguaggio specialistico e introduce allo stesso tempo la tematica principale del volume: il testo normativo federale in lingua italiana e i suoi legami con la traduzione, sullo sfondo del plurilinguismo. L’autore prende le mosse dalla contraddizione insita nel linguaggio del diritto che, pur essendo nato per regolare le interrelazioni del genere umano con lo Stato e la società civile, risulta spesso oscuro, inaccessibile e infarcito di tecnicismi. Si tratta di un linguaggio specialistico sui generis, impregnato di parole del linguaggio comune che assumono una dimensione tecnica e che, attraverso leggi e altri atti, penetrano quotidianamente nella vita del cittadino. L’esigenza di chiarezza è evidente soprattutto nei testi normativi, dove la portata prescrittiva e il fatto di regolamentare molte aree del sapere e attività dell’uomo ne fanno in primo luogo una necessità democratica. A tal proposito, nel 2007 la Confederazione ha normato con la legge sulle lingue l’uso di un linguaggio chiaro e vicino al cittadino. L’autore non può fare a meno di notare il paradosso del legiferare su un tale obiettivo, ma riconosce che a volte «la strumentalità tecnica delle disposizioni [...] finisce per avere il sopravvento sulla loro accessibilità generale» (pag. 7). In questa tensione tra specificità settoriale e strumento di comunicazione accessibile ad un’ampia cerchia di destinatari, Egger introduce il testo normativo federale in lingua italiana che, pur nascendo come traduzione, assurge al ruolo di testo originale, autentico e ufficiale. La versione italiana sfugge infatti alla dinamica traduttiva classica di testo di partenza e testo di arrivo e assume una propria autonomia con risultati, talvolta, anche differenti dalle altre due versioni linguistiche. Questo processo traduttivo interlinguistico e intralinguistico, in grado di dar vita ad un testo finale autentico e fruibile, costituisce il fulcro del volume ed è sviluppato nei due capitoli successivi.

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Il secondo capitolo delinea la traduzione interlinguistica come strumento in grado di realizzare e garantire il plurilinguismo svizzero. Dopo alcuni cenni sull’italiano «federale» in quanto lingua esclusiva della Confederazione, da non confondere con le varianti cantonali o appartenenti alle istituzioni della vicina penisola, si descrivono le tappe del plurilinguismo politico che dal 1798 hanno condotto alla parificazione con le altre due lingue e all’ufficialità della lingua italiana. Si tratta di un lento processo storico-politico che, dall’iniziale riconoscimento legislativo, vede la nascita del Segretariato di lingua italiana quale organo aggregato della Cancelleria federale, la pubblicazione della legislazione in lingua italiana sul Foglio federale, fino ad arrivare alla presenza fisica del testo italiano in Parlamento e alla centralizzazione della responsabilità di tutti i testi italiani (dell’Esecutivo e del Parlamento) nello stesso Segretariato presso la Cancelleria. Da un punto di vista materiale, il testo italiano è in primo luogo una traduzione interlinguistica, ma lo status giuridico di ufficialità lo rende autonomo tanto da essere considerato un «unico originale» anche in caso di divergenze interpretative con le altre versioni linguistiche. La traduzione istituzionale dei testi normativi viene così descritta in tutte le sue sfaccettature sulla base dell’iter legislativo federale. Si tratta di un’operazione che proprio in virtù di questa antinomia (traduzione/originale) prevede alcune fasi specifiche come il coordinamento con altri testi normativi vigenti, la collocazione delle varie norme all’interno del testo (procedendo dal generale al particolare e seguendo una precisa gerarchia testuale), fino ad arrivare all’uso controllato del linguaggio e al rispetto di precise norme redazionali. Al di là dell’ufficialità de jure che assume il testo tradotto, il capitolo non intende occultare l’esistenza de facto della traduzione. Al contrario, viene offerta una riflessione critica sull’attività traduttiva sotto forma di «tesi» dove la traduzione è vista di volta in volta come: arricchimento informativo, atto di civiltà che permette il confronto con altre culture, prova di vitalità di una lingua (soprattutto nel caso delle lingue minoritarie e meno prestigiose), opera creativa, fattore di umanità, ma soprattutto come un’attività complessa che esige un determinato contesto istituzionale di produzione. A tal proposito, l’autore critica l’affidamento esclusivo alla traduzione automatica e il culto della velocità imposto dal mercato globalizzato. La realtà istituzionale implica un rapporto «etico» con il testo che si concretizza nel rispetto di una comunicazione formale, altamente codificata da norme redazionali. Per le stesse ragioni, l’autore mette in guardia anche da semplificazioni estreme del linguaggio ufficiale e rivendica una maggiore attenzione alla cura delle parole istituzionali, nel rispetto di ogni lingua.

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Trattandosi di un testo ufficiale, la prima traduzione interlinguistica del testo italiano è sottoposta ad una seconda traduzione, intralinguistica, per conformare il testo al registro e alle convenzioni redazionali dell’istituzione di appartenenza. L’osservanza di queste regole costituisce l’argomento del terzo capitolo che passa in rassegna gli elementi della comunicazione istituzionale. Tra questi: i vincoli del testo normativo e le sue differenze con quello amministrativo, l’impersonalità come fonte di uniformità piuttosto che astrazione, la comprensibilità normativa che non va confusa con la leggibilità linguistica immediata, la cura della lingua e il rispetto del dettato normativo. Ampio spazio è dedicato anche alle guide, alle istruzioni e alle direttive redazionali di tecnica legislativa pubblicate negli ultimi anni dall’Amministrazione federale. Ci si sofferma soprattutto sulle Istruzioni 2003, uno strumento che disciplina regole generali per la redazione di vari tipi di testi ufficiali, su Omnia, che offre un reportorio di modelli dei principali testi federali con tanto di note e commenti utili per risolvere determinate problematiche redazionali, e infine sulla Guida al pari trattamento linguistico. A quest’ultimo testo sono dedicati diversi paragrafi con esempi concreti su parità linguistica e lingua epicena, uso del maschile inclusivo nel caso di titoli e professioni e sul trattamento di espressioni e termini problematici.

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Il quarto capitolo prende in esame aspetti specifici della redazione legislativa in lingua italiana ed è corredato da esempi chiari e istruttivi. Si spazia dagli enunciati performativi, con la sottile distinzione tra modalità tetica e deontica, alla redazione dei titoli dei testi di legge fino ad arrivare ad aspetti più specifici e direttamente legati alla traduzione come i calchi e i forestierismi. Ogni sezione è accompagnata da numerosi esempi in chiave monolingue e plurilingue che offrono una panoramica delle sfide imposte dalla traduzione interlinguistica e intralinguistica affrontata nei due capitoli precedenti, ma anche un momento di riflessione su alcuni concetti del diritto.

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Il capitolo finale ribadisce le potenzialità del plurilinguismo istituzionale come garante di democrazia e coesione nazionale. In quest’ottica, la traduzione rappresenta l’atto creativo per eccellenza che la rende possibile, «uno strumento irrinunciabile di comprensione interculturale» (pag. 302), che non può risolversi in una codifica automatica e isolata del testo di partenza. Infatti, pur riconoscendo l’indubbio supporto di alcuni strumenti tecnologici, il volume illustra chiaramente come la traduzione istituzionale di un testo normativo non può essere standardizzata meccanicamente. Al contrario, acquista una sua identità proprio dall’elaborazione critica del testo originale che non può prescindere dal confronto interlinguistico e dal contesto istituzionale di appartenenza.


Annarita Felici, Professoressa associata all’Università di Ginevra (FTI), Annarita.Felici@unige.ch.

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